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IL CALCIO ITALIANO NEL MONDO


CALCIO PER DISABILI PSICHICI

Demonizzati perché le loro condizioni incutono timore. Spesso dimenticati e impossibilitati ad avere una normale vita famigliare e affettiva. Emarginati da Stato e società che preferiscono non vedere. Sono gli uomini italiani con problemi mentali. Stiamo parlando del Calcio per Disabili Psichici, del progetto “Crazy for football” ("matti per il calcio") e della Nazionale italiana di calcio a 5 per pazienti psichiatrici che ha disputato e vinto a Roma, nel maggio 2018, la seconda edizione del Mondiale.
Il curatore del progetto, lo psichiatra Santo Rullo, spiega: «Assieme a un collega, 27 anni fa ci siamo accorti che i nostri pazienti erano devitalizzati per la maggior parte del tempo. La situazione cambiava all’improvviso se vedevano scorrere un pallone. Così abbiamo deciso di organizzare piccoli campionati locali». Un’idea semplice, rivoluzionaria e con un grande impatto scientifico. «I neuroscienziati», prosegue Rullo, «hanno dimostrato che l’attività fisica aumenta la produzione di serotonina e dopamina. Dati molto rilevanti per le persone con disturbi psichici, che a causa di malattie cardiovascolari dovute principalmente alla sedentarietà hanno un’aspettativa di vita più bassa del 20% rispetto alle persone sane».
Nel 2011 Nobuko Tanaka, docente di Sociologia dello sport all’università di Yokohama, trovò casualmente in Rete le immagini delle partite giocate dai pazienti di Rullo. Ne rimase folgorata; volle e immaginò subito una visibilità maggiore per quelle storie di speranza. Così, con il patrocinio del Comitato olimpico e paralmpico internazionale di Tokyo 2020, ha dato vita al primo Mondiale a Osaka nel 2016. Dall’esperienza della squadra italiana in quella rassegna sono nati il documentario e il libro Crazy for football (Longanesi, 272 pagine, 14,90 euro). Il lavoro diretto da Volfango De Biasi è un successo che nel 2017 ha vinto il David di Donatello e la menzione speciale ai Nastri d’Argento. Il premio più prestigioso è stato però un altro, perché il vero obiettivo è educare all’inclusione sociale, in particolare le nuove generazioni: l’opera del 46enne regista romano, infatti, è stata proiettata in molte scuole italiane, coinvolgendo circa 5 mila studenti.
Il ct azzurro Enrico Zanchini dice col sorriso sulle labbra: «Al Mondiale abbiamo avuto una rosa di grandissimo livello composta da 16 giocatori». «Dai tre provini di Milano, Bari e Roma che abbiamo organizzato sono emersi tanti talenti che potrebbero tranquillamente giocare nelle più importanti categorie federali. Alcuni di loro sono stati convocati e hanno realizzato il sogno di indossare la maglia della Nazionale». Durante il gioco i ragazzi si sentono veri calciatori e per più di un’ora problematiche, costrizioni e infelicità quotidiane evaporano per lasciare spazio all’integrazione. Non conta più l’età, la regione di provenienza, i fantasmi del passato e l’incertezza del futuro.
La nascita di nuove squadre per pazienti di centri mentali, privati o statali, è un fenomeno con una crescita esponenziale. Alimentato da una sana competizione tra società che partecipano a tornei internazionali, Coppa Italia di categoria e che stanno per lanciare il primo Campionato italiano. Anche Coni e Figc fanno la loro parte. Andrea Montemurro, presidente federale della divisione Calcio a 5, spiega: «Noi diamo una mano dal punto di vista istituzionale e relazionale, cercando di seguire in tutto e per tutto questi atleti; l’aspetto sociale conta più di quello sportivo. In questo percorso, intrapreso tempo fa e basato sull’apporto di persone eccezionali, c’è una sola pecca: l’assenza dello Stato». Quello stesso Stato in cui il 13 maggio 1978 entrava in vigore la Legge Basaglia. Il provvedimento che ha riformato l’organizzazione dell’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale, stabilendo il superamento delle logica manicomiale. «La 180/78 ha dato i suoi frutti solo nella zona di Trento e dintorni, nelle altre regioni imperversano le cliniche psichiatriche», dice Montemurro.
Non usa giri di parole il dottor Giovanni Tassoni, responsabile di una comunità terapeutica di Viterbo. «Il nostro Csm (Centro salute mentale, ndr) è coinvolto da un anno in questo progetto che è una grandissima opportunità. I ragazzi escono allo scoperto, contrastano gli stereotipi sulle malattie mentali. E trascorrono del tempo insieme, si conoscono e creano la loro comunità». In una parola fanno rete.
La Dream World Cup 2018 ha visto la partecipazione di 9 nazionali e 150 pazienti psichiatrici in campo si sono sfidati a Futsal per 3 giorni, a Roma al PalaTiziano. La nostra nazionale che con molta autoironia ha dato il nome alla squadra “Crazy for football” ovvero “Pazzi per il calcio” è arrivata prima battendo in finale per 17 a 4 il Cile, terzo classificato il Perù e quarta l’Ungheria. Dream world cup è stata una grande occasione di promuovere il valore positivo del gioco del calcio come motore del reinserimento sociale. I giocatori della nazionale sono persone che soffrono di disturbi bipolari, schizofrenia, depressione e che trovano nell’impegno nello sport una strada che ridà innanzitutto dignità alla persona, prima che considerarla semplicemente malata. Mentre Enrico Zanchini, l’allenatore, ha un solo dispiacere: “Non abbiamo trovato neanche un’azienda che ci sponsorizzasse. Evidentemente i matti fanno ancora paura. Ma questo è un grande sogno che si realizza: la vittoria di una grande battaglia culturale perchè tutti hanno diritto alle cose belle della vita, come lo sport, e che questi ragazzi sono capaci di farlo ad altissimo livello” Questa è una strada che, a costo di grandi sacrifici, porta queste persone a unire il corpo alla mente”.
Clicca qui per vedere il servizio sul mondiale di Roma del 2018.


La Nazionale Italiana di Calcio a 5 per Pazienti Psichiatrici, vittoriosa a Roma nella Dream World Cup 2018.